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Gli Arbëreshët: le emigrazioni Cristiano-Albanesi in Italia

San PeliniUna lunga storia iniziata intorno alla metà del XV secolo Se eccettuiamo le emigrazioni di albanesi avvenute negli scorsi anni Novanta, a causa della lunga crisi politico-amministrativa allo sfaldarsi dello Stato Enverista, collocheremo fra la metà del sec. XV ed il 1774 il consolidamento del nucleo Arbëresh in Italia.

I primi Albanesi, soldati, giunsero nel nostro Paese agli ordini di Dhimitër Reres, chiamato da Alfonso I il Magnanimo, re delle Due Sicilie (1442-58; V d’Aragona: 1416-58), per intervenire in Calabria contro gli avversari del monarca iberico, il quale conferì a Reres responsabilità politiche nella Calabria Ulteriore (1448): furono edificati i paesi di: Amato, Àndali, Arietta, Casalnuovo di Noja, Vena di Màida e Zangarona. I figli di Dhimitër, Gjergj e Vasili, si diressero in Sicilia dando vita alle comunità albanesi site nelle attuali province di Agrigento, Catania e Palermo. Con l’intensificazione dei rapporti fra Regno delle Due Sicilie e l’Albania di Gjergj Kastrioti Skënderbeu (Scanderbeg), questi prestò aiuto a Ferdinando I il Bastardo (1458-94), nelle lotte contro gli Angioini, ottenendo feudi in Puglia (fra cui Monte Sant’Angelo, San Giovanni Rotondo e Trani). Ivi restarono numerosi militari, a cui s’aggiunsero altri, i quali dopo la scomparsa di Skënderbeu (1468) – che accelerò l’offensiva turca – preferirono con moltissimi cristiani rifugiarsi in Italia: ebbero vita Campomarino, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio di Puglia, Chieuti, Faggiano, Martignano, Monteparano, Portocannone, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San Martino, San Marzano di San Giuseppe, San Paolo di Civitate, Santa Croce di Magliano, Sternatia, Ururi e Zollino. Skënderbeu (1405-68) fino alla sua morte lottò mantenendo libera la sua Terra in un’epoca in cui gli ottomani minacciavano sotto le porte di Vienna l’intero Occidente: in questa città si conservano ancora i propri elmo e spada. Questi era un uomo di grande cultura ed erudizione (conosceva cinque lingue), di religione cattolica ed abile dipolomatico, “inventore” della guerriglia; nel 1461 fu ricevuto da Pio II (1458-64) per chiedere aiuti nella comune lotta contro i nemici turchi.245px-Gjergj_Kastrioti

Nel 1470 dopo il matrimonio fra Irene Kastrioti ed il principe di Bisignano (grande feudatario di Calabria), una cospicua parte degli albanesi di Puglia si spostò con la nobile Irene nella terra del consorte, popolando: Macchia Albanese, San Cosmo Albanese, San Demetrio Corone, San Giorgio Albanese, Spezzano Albanese e Vaccarizzo Albanese. Caduta Kruja (1478), capitale leggendaria della resistenza contro i musulmani, i nuovi arrivati eressero i paesi di Acquaformosa, Castroregio, Cavallerizzo, Cervicati, Cerzeto, Cìvita, Falconara Albanese, Firmo, Frascineto, Lungro, Mongrassano, Plàtaci, Porcile, Rota Greca, San Basile, San Benedetto Ullano, San Giacomo d’Acri, San Lorenzo del Vallo, San Martino di Finita, Santa Caterina Albanese, Santa Sofia d’Epiro, Serra d’Aiello, ecc.

Le grandi emigrazioni schipetare di metà secondo millennio si conclusero nel 1533-34 con la capitolazione della fortezza di Koronë, postremo baluardo agli ottomani; famiglie albanesi ripararono a Napoli, nell’isola di Lipari; la maggioranza inviata a Melfi (gli albanesi rifugiatisi si staccarono e fondarono Barile), a Brindisi Montagna, Farneta, Maschito e San Costantino Albanese. Successivamente arrivarono profughi nel 1647 (Barile), 1744 (Villa Badessa) e 1774 (Brindisi Montagna). Nuclei di arbëreshët s’insediarono nel territorio di Parenzo e nel villaggio di Peroi (Istria e Pola): la colonia di Peroi sorse con una concessione di Venezia, che accolse alcune famiglie di commercianti legati ai traffici con la Serenissima. Altri albanesi si segnalarono fra Quattrocento e Cinquecento a Bari, Bosco Tosca e Pievetta-Dogana Po (Piacenza), Cardevole (Corsica) e Rimini.

Diversi albanesi preferirono arruolarsi negli eserciti spagnoli e combattere eroicamente nelle guerre europee (celebri la cavalleria albanese di Venezia, detta degli stratiótés, e la fanteria schipetara

di Napoli la Real Macedone creata da re Carlo VII [1734-59, III di Spagna: 1759-88]).

I profughi furono considerati cattolici dalle autorità religiose locali. A molte colonie col passar del tempo s’impose la latinizzazione o la minaccia di tale misura nonché di forme miste di liturgia latina e bizantina.

Regnante il pontefice di origine albanese Clemente XI (infra), su iniziativa del padre arbëresh Stefano Rodotà, fu accettata la prpposta d’istituire un collegio di rito bizantino in Calabria e la nomina di un vescovo che ordinasse i sacerdoti del suddetto rito. L’opposizione dei vescovi latini ritardò non poco i progetti della comunità albanese, ma nel 1732, Clemente XII (1730-40) destinò a tal opera i beni dell’abbazia di San Benedetto Ullano, oltre all’elargizione di una cospicua quantità di danaro prelevata dal proprio tesoro. Attraverso le le disposizioni del Santo Padre, al vescovo bizantino furono conferiti i massimi poteri nell’àmbito del collegio, e la facoltà di promuovere agli ordini i suoi studenti, ed il diritto di visita nelle chiese di rito bizantino; però gli ecclesiastici del rito rimanevano sotto la giurisdizione dei pastori latini. Per ciò che concerne gli albanesi di Sicilia, fu concesso da Carlo VII un collegio a Palermo, e Ferdinando IV (1759-1806; 1815-25) assegnò loro un vescovo sempre nella capitale siciliana (1784).

Gli sforzi compiuti dagli albanesi per ottenere la purezza del loro rito, e vere e proprie diocesi bizantine, si concretizzarono col tempo, ed è della seconda metà del Settecento la fondamentale opera di Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia. Agli Arbëreshët si riconobbero identità e valori da Leone XIII (1878-1903), che dispose l’eliminazione di ogni aggiunta liturgica non conciliabile con il rito bizantino. Successivamente, nel 1919 – col pontificato di Benedetto XV (1914-22) – fu eretta in Calabria l’eparchia (diocesi) di Lungro (Ungra) e nel 1937, sotto Pio XI (1922-39), in Sicilia quella di Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet); contemporaneamente fu dichiarata “esarchica” l’abbazia di Santa Maria di Grottaferrata (Roma).

Clemente XI e la famiglia Albani

La costante speranza di Clemente XI (Gian Francesco Albani: n. 1649, 1700-21) di unificare la Cristianità, ebbe vasti risultati in Albania, dove le Chiese cattolica e ortodossa per un periodo furono assieme. Clemente XI, riconoscendosi albanese, si interessò molto della rinascita politica e religiosa della Madrepatria. Si svolse allora il “primo concilio nazionale albanese” (1703), che segnò decisamente la linea di condotta del clero nelle questioni dogmatiche, morali, canoniche e pastorali. Intanto anche nel settore

ortodosso s’erano avute novità. Vari ricorsi di prelati ortodossi d’Albania alla protezione politica del Papa avevano portato anche ad un avvicinamento religioso, sicché si venne prima ad una specie d’unione, poi, non essendo questa ben riuscita, alla creazione di sedi arcivescovili per i latini ad Ocrida e Skoplje. Una missione di rito bizantino aveva già lavorato a Himarë dal 1628. Inoltre, nel sec. XVIII, in vaste zone nord-orientali e centrali si ebbe il fenomeno del criptocristianesimo, durato fino ai nostri giorni (in specie nel periodo enverista); ed anche fra coloro che abbracciarono l’islam, molti preferirono le sette più eterodosse e meno lontane dal cristanesimo, quale la bektâšiyya.

La famiglia Albani fu fondata da due fratelli albanesi, Giorgio e Filippo di Michele de’ Lazi, già combattenti agli ordini di Skënderbeu, i quali si rifugiarono ad Urbino, dove Federico e Guidobaldo di Montefeltro li nominarono uomini di fiducia per questioni diplomatiche e belliche. Presero il cognome Albanesi che il longevo Altobello (1445-1564), figlio di Giorgio, mutò in Albani. La famiglia generò, oltre a Clemente XI, illustri cardinali, grandi diplomatici e uomini di Stato di eccelso valore: Giovanni Girolamo (1509-91): cardinale e conte, vicecomandante delle forze armate della Repubblica Serenissima, in due conclavi candidato al Soglio di Pietro, storiografo, consigliere giuridico personale di Gregorio XIII (1572-85) e Sisto V (1585-90); Orazio (1576-1653): diplomatico, nominato senatore di Roma da Urbano VIII (1623-44); Annibale (1682-1751): canonico di San Pietro, presidente della Camera Apostolica, segretario dei Memoriali, cardinale (1711) e nunzio straordinario a Vienna, ove lavorò per far ratificare l’elezione dell’imperatore Carlo VI (1711-40), camerlengo di S. Romana Chiesa, arcicancelliere della Sapienza, arciprete della Basilica Vaticana, vescovo di Sabina poi di Porto e Santa Rufina, sottodecano del Sacro Collegio; Alessandro (1692-1779): a soli quindici anni colonnello dell’armata pontificia ma lasciò la carriera militare, segretario dei Memoriali, inviato a Vienna, cardinale (1721), bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ambasciatore d’Austria a Roma, protettore del Regno di Sardegna, protettore a amico del Winckelmann, costruttore della Villa Albani e splendido mecenate; Gian Francesco (1720-1803): cardinale (1753), protettore degli Affari di Polonia, partecipò ai negoziati con Caterina II (1762-93) per regolare la situazione dei cattolici in Russia, vescovo di Sabina poi di Porto e Santa Rufina finché nel 1775 come decano del Sacro Collegio fu vescovo di Ostia e Velletri, difensore dello Stato Pontificio contro la Francia rivoluzionaria e propugnatore delle elezioni di Clemente XIII (1758-1769) e Pio VII (1800-23); Giuseppe (1750-1834): chierico di camera di Pio VI (1755-99), ablegato a Vienna per portare la fascia benedetta al battesimo dell’arciduca Ferdinando che fu poi imperatore (1835-48), cardinale (1801), protettore dell’impero d’Austria, prosegretario dei Brevi e legato a Bologna, segretario di Stato di Pio VIII (1829-30), e commissario straordinario di Gregorio XVI (1831-46) per ricondurre l’ordine nelle Legazioni all’indomani dei moti rivoluzionari (1832), bibliotecario di Santa Romana Chiesa, vescovo d’Urbino e legato di Pesaro e Urbino. La famiglia si estinse nel 1852 con Filippo. È singolare come ad Oriente un’altra grande famiglia albanese di gran visir reggesse, quasi contemporaneamente agli Albani, le sorti dell’Impero ottomano nei secc. XVII-XVIII: i Këpryly (Köprülü).

Prima di Clemente XI, vi erano stati altri tre pontefici oriundi d’Albania: San Eleuterio (175-189), San Caio (283-296) e Giovanni IV (640-642).

Prof. GIOVANNI ARMILLOTTA

Bibliografia:

Annuario Generale dei comuni e delle frazioni d’Italia, TCI, Milano, 1980; “Annuario Pontificio”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1999, pp. 1161; Giuseppe Castellani (dir.), Storia delle Religioni, UTET, Torino, 1971, 6ª ed., vol. IV, p. 645; Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, pp. 636-50; Enciclopedia Italiana, Roma, 1949, vol. II, p. 92; Vincenzo Fucci, Sulle origini ‘albanesi’ di S. Giorgio Lucano, “Basilicata Regione – Notizie”, Potenza, n. 1, 1996, pp. 79-84 Hubert Jedin (dir.), Storia della Chiesa, Jaca Book, Milano, 1993, 2ª ed., vol. IX, pp. 445-6; Alban Kraja, Kosovo. La sopravvivenza di un popolo. Le vere cause storiche di un conflitto, Iliria Edizioni, Rimini, 2000, 2ª ed, pp. 52-4; “Libertà”, Piacenza, 22 agosto 1990; Angelo Masci, Discorso sugli Albanesi del Regno di Napoli [1807], Marco, Lungro, 1990; Mons. Angelo Mercati e Mons. Pelzer (dirr.), Dizionario Ecclesiastico, UTET, Torino, 1953, vol. I, p. 76; Bruno Pancini, Una minoranza di origine albanese in provincia di Piacenza? Ricerche attendibili farebbero risalire alla fine del ’400 o inizi del ’500 l’insediamento di due ceppi famigliari: i Tosca e gli Albanesi, “Realtà Albanese”, Roma, I (1990), n. 1, Aprile, pp. 23-4; Ivana Tanga, Storia delle comunità albanesi in Italia, ivi, p. 24.


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